Le misure che non riescono a contrastare la povertà. Il sindacato avanza richieste e proposte per incidere sulle tante fragilità sociali presenti nel territorio
È stato pubblicato il primo report INPS su ADI (Assegno di Inclusione) e SFL (Supporto Formazione e Lavoro), le due misure di contrasto alla povertà che hanno sostituito il reddito di cittadinanza, uno strumento a copertura più ampia seppur con aspetti che andavano migliorati.
ADI e SFL non riescono a contrastare la povertà nel territorio messinese, ed è questo il commento della Cgil Messina che analizza dati e situazione sociale a livello locale oltre che far emergere i limiti delle nuove misure che hanno un certo impatto sulle condizioni di vita.
Nel raffronto con il 2022 – inizia l’analisi della Cgil Messina – quando vi erano 21.651 nuclei (di cui 13.817 nel solo comune di Messina) per un totale di 47.220 persone (di cui 31.999 a Messina città) che percepivano il Reddito di cittadinanza, a maggio 2024 risultano in provincia di Messina 13.857 nuclei beneficiari per un totale di 33.275.
Vi sono dunque 7.794 nuclei familiari in meno (il 36% in meno), per un totale di 13.945 persone.
A pagare le spese della restrizione dei requisiti – osserva Stefania Radici, segretaria della Cgil Messina con delega al welfare che prosegue con l’analisi di quanto emerso dal primo report – sono stati in particolare i nuclei familiari con un singolo componente, poiché l’ADI è riconosciuto ai nuclei familiari che abbiano almeno un componente con disabilità; minorenne; con almeno 60 anni di età; o in condizione di svantaggio e inserito in programma di cura e assistenza dei servizi sociosanitari territoriali certificato dalla pubblica amministrazione.
Non a caso, a livello nazionale, solo 0,96% è riconosciuto a persone in condizione di svantaggio e senza minori, disabili o over 60. I singoli componenti di nuclei familiari di età compresa tra i 18 e i 59 anni, con un valore dell’ISEE familiare non superiore a 6.000 euro annui, e che non hanno i requisiti per accedere all’Assegno d’Inclusione, sono considerati occupabili e dunque possono fare richiesta di SFL.
Al netto che l’erogazione al beneficio economico è subordinata alla partecipazione alle attività formative, di qualificazione e riqualificazione professionale, attività che sono in forte ritardo perché la Regione non ha ancora fatto partire i corsi (non a caso da settembre 2023 a giugno 2024 sono state pagate in media solo 2,3 mensilità ai beneficiari), è da considerare che alla maggior parte di loro non basterà un corso di formazione per immettersi nel mercato del lavoro ed al termine del corso e comunque delle dodici mensilità che costituiscono il numero massimo di mensilità erogabili, non avranno alcun tipo di sostegno.
Più della metà delle domande presentate e accolte – si segnala con la lettura dei dati – proviene da persone che hanno dai 50 ai 59 anni. Quanto questi siano effettivamente occupabili sarebbe da verificare. Eppure non esistono meccanismi di valutazione da parte dei servizi sociali, né la possibilità di integrare il requisito demografico dell’età (18-59 anni) con un criterio che tenga maggiormente conto della possibilità per le persone di trovare un lavoro (livello di istruzione, competenze, esperienze lavorative precedenti, durata della disoccupazione). È poco realistico pensare che un ultracinquantenne con basso titolo di studio e disoccupato di lungo periodo possa fare un corso di formazione ed essere inserito nel mercato del lavoro.
Criticità che comunque non riguarda solo gli over 50, ma tutta la platea dei fruitori, se si considera che l’inserimento lavorativo dei soggetti fragili, anche dopo il conseguimento di un titolo o di una qualifica, non è automatico sia perché la domanda di lavoro nel nostro tessuto produttivo è abbastanza limitata sia perché finora sgravi ed agevolazioni non hanno incentivato le assunzioni dei percettori di misure di contrasto alla povertà.
“Oltre a chiedere che a gran voce si facciano sentire anche dal nostro territorio le criticità a queste misure di tipo categoriale e per certi versi discriminatorie che non risolvono il problema della povertà e dell’esclusione sociale, avanziamo richieste per fare fronte a queste criticità e dare risposte ai bisogni sociali presenti”, dichiara il segretario generale della Cgil Messina Pietro Patti.
Per gli esponenti della Cgil Messina e il segretario generale della categoria Fp-Cgil Messina, Francesco Fucile, risulta infatti necessario il potenziamento degli organici sia nei servizi sociali che nel centro per l’impiego, affinché i dipendenti siano messi nelle condizioni di poter intercettare, accogliere, prendere in carico e seguire in tutto il loro iter i beneficiari accompagnandoli in percorsi di inclusione sociale e laddove possibile lavorativa ed integrando il sostegno economico con i servizi assistenziali che si rendessero necessari, alla luce dei bisogni sociali, sanitari, educativi, abitativi dei singoli.
Per quanto riguarda gli assistenti sociali, le risorse ci sono e vanno utilizzate. Si tratta del Fondo Povertà che mette a disposizione, in virtù della Legge 178/2020, un contributo economico pari a 40.000 euro annui per ogni assistente sociale assunto a tempo indeterminato in numero eccedente il rapporto di 1 a 6.500 abitanti e 20.000 euro annui per ogni assistente sociale assunto in numero eccedente il rapporto di 1 a 5.000 abitanti e fino al raggiungimento del rapporto di 1 a 4.000.
Finanziamento che ha natura strutturale e non riguarda solo le nuove assunzioni. Ciascun distretto socio-sanitario avrà diritto al contributo per gli assistenti sociali, anche già assunti, fintantoché rispetterà la soglia prevista dalla normativa. L’obiettivo è assicurare un Livello essenziale delle prestazioni sociali, rispetto al quale ancora il nostro territorio è molto indietro.
La Cgil Messina, inoltre, propone la creazione di un coordinamento metropolitano delle misure di contrasto alla povertà, in stretta cooperazione con gli Uffici di Piano dei Distretti socio-sanitari e le Reti territoriali per l’Inclusione e la protezione sociale, al fine di superare la frammentazione delle informazioni, favorire attività di raccolta dati, analisi e approfondimento, supportare la programmazione territoriale, promuovere omogeneità delle politiche di intervento, definire azioni condivise, condividere soluzioni a criticità, scambiare buone prassi in un’ottica di co-progettazione partecipata degli
interventi. Nell’ottica di un ruolo più attivo e proattivo da parte delle Istituzioni pubbliche in rete con i diversi attori del territorio:
gli operatori dei servizi sociali territoriali possono assistere e sostenere ma non possono creare lavoro soprattutto in un contesto in stagnazione economica. Occorre affrontare il tema che non basta un corso di formazione e un tirocinio in azienda per inserirsi in un mercato del lavoro asfittico e asettico.
Per questo motivo, se da una parte le Istituzioni pubbliche dovrebbero identificare meccanismi che non consentano alle aziende del territorio un turnover continuo di tirocinanti senza offrire loro alcuna reale possibilità di inserimento lavorativo, anzi le stimolino a fornire competenze e qualifiche utili ed
assumere; dall’altra dovrebbero sostenere sul piano economico e operativo iniziative di economia sociale, ad esempio legate alle comunità energetiche rinnovabili solidali o a cooperative di comunità, al fine di promuovere percorsi di rigenerazione al contempo sociale, economica ed urbana.
“Se l’obiettivo è quello di aggredire le condizioni di fragilità delle persone – concludono Patti e Radici – il metodo non può che essere quello di creare reti collaborative con diversi attori del territorio per mettere a valore conoscenze, competenze, risorse e opportunità e soprattutto tessere trame di comunità, in un contesto sociale sempre più sfilacciato e frammentato”.