La 59esima stagione delle rappresentazioni classiche porta in scena il dramma della sposa di Teseo, vinta dal folle amore per il figliastro Ippolito.

Accompagnato da scroscianti applausi, la “Fedra” portata in scena dal regista scozzese Paul Curran mette in risalto la follia amorosa, tema spesso ricorrente nella classicità. Curran sceglie la veste della contemporaneità per raccontare le trame ambigue della tragedia, e lo fa affidandosi ad un impianto scenografico essenziale, dominato dal contrasto cromatico con i vestiti di scena degli attori.

Il regista enfatizza alcuni aspetti della tragedia euripidea che pone al centro di tutto il dramma del suicidio della consorte del mitico re di Atene, Teseo, nobile figlia di Minosse e Pasifae, vittima del capriccio della dea dell’amore.

Da giorni Fedra versa in condizioni di salute precarie: ha smesso di nutrirsi, è in preda al delirio e pare che soffra di una strana malattia. In realtà è semplicemente innamorata, cose che capitano ai comuni mortali; sin qui non ci sarebbe nulla di strano, poiché “cosa c’è di più dolce e, insieme, di più doloroso dell’amore?” , se non fosse che l’oggetto del desiderio è il figliastro Ippolito, giovane virgulto devoto alla dea vergine Artemide, restio al matrimonio e tendente alla misoginia: il ritratto della “vittima perfetta” di Afrodite.

Amore sinonimo di morte, la vendetta più forte della pietà, la verità che si infrange contro il muro del tacere. Ancora una volta i tragici ci dicono che è vano sottrarsi al volere degli dei,e l’uomo ha una sola colpa: la vulnerabilità.

L’ombra del disonore viene spazzata via dalla decisione dell’assennata Fedra di compiere il gesto estremo per liberarsi dall’amore folle, proibito e incestuoso che l’ha colta d’improvviso verso Ippolito; una sciagura, un abominio rivelato alla Nutrice poiché il fardello è troppo grande da sopportare. Sebbene quest’ultima tenti di distoglierla dai suoi propositi, rivelando l’indicibile al ragazzo, Fedra non lascia che le belle parole possano cancellare l’infamia delle eventuali azioni; è troppo saggia per lasciarsi andare all’eros delirante, e l’unica soluzione è darsi la morte. Lo aveva preannunciato nel prologo la stessa Afrodite: “Fedra conserverà il suo onore, ma perirà: non posso preoccuparmi della sua fine, al punto tale da privarmi del piacere di far pagare ai miei nemici l’offesa arrecatami” .

E così Fedra si impicca, gettando nello sgomento l’intera corte; lascia una lettera indirizzata al marito Teseo (in quel momento lontano dalla patria), testimonianza fallace che l’uomo legge trattenendo il respiro. Nella lettera c’è un ribaltamento della situazione, si enunciano le cause che avrebbero indotto la donna ad uccidersi: Ippolito le ha usato violenza. La furia di Teseo è cieca; senza curarsi di verificare la bontà della testimonianza del figlio, dispone il suo esilio in terra straniera. Ippolito resta fedele al giuramento della Nutrice, non rivela la verità al padre, al contrario rivendica la sua purezza e la sua virtù, tuttavia non retrocede. Il giovane accetta la decisione del padre, rimane fedele alla legge morale dell’oikos, e, sulla strada dell’esilio, trova una fine orrenda causata dalle maledizioni del padre. Quando già Artemide appare all’eroe attico per raccontare la verità dei fatti, è ormai troppo tardi. Il rimorso di Teseo sta tutto nell’abbraccio al figlio morente, una fotografia struggente con la quale si abbassano le luci dei riflettori.

Il regista Paul Curran ci consegna una tragedia certamente misurata secondo i suoi parametri artistici, con scenografie e musiche complesse (a tratti azzardate); forte il contrasto tra il grigiore delle impalcature di quello che dovrebbe rappresentare il palazzo reale, arricchito da una testa monumentale su cui vengono proiettati in sequenza dei video, e gli sgargianti costumi del coro. A proposito del coro: discutibile la scelta di vestire i servi che accompagnano Teseo con tute catarifrangenti, elmetti e torce da minatori, così come poco credibili risultano i compagni di Ippolito, vagamente somiglianti ai protagonisti del musical anni Sessanta Hair. Nel complesso, una rappresentazione riuscita a metà.

Le foto sono tratte dalla pagina Facebook INDA