“Abbiamo chiesto al sindaco di Messina e della Città metropolitana un confronto sulle tante emergenze sociali e sugli interventi da attuare”

La Cgil Messina analizza e dà una lettura degli ultimi dati Istat, Inps e di quelli riguardanti il tessuto economico produttivo (Movimprese) della città di Messina e della sua provincia. Un quadro da cui emerge una situazione di tante emergenze, partendo da quella del lavoro alle altre che riguardano i bisogni e di diritti di cittadini e cittadine.

Il segretario generale della Cgil Messina, Pietro Patti, fa presente come, davanti alle tante criticità e agli interventi da mettere in campo, la Cgil abbia inviato diverse richieste di incontro all’amministrazione cittadina e metropolitana.  “Più volte – dichiara Patti – abbiamo sollecitato il Sindaco di Messina e della Città metropolitana ad incontrarci per un confronto in merito a questioni inerenti al welfare, alle politiche di sviluppo, all’utilizzo dei fondi strutturali e del Pnrr, che dovrebbero avere lo scopo di ridurre i divari economici e sociali e favorire la partecipazione attiva al mercato del lavoro, soprattutto delle donne e dei giovani. Alcune e importanti richieste riguardanti tematiche che incidono sulle condizioni di vita sono rimaste inevase”.

La Cgil Messina evidenzia, inoltre, l’esclusione del sindacato dai tavoli convocati per affrontare questioni che hanno incidenza e un impatto sugli aspetti occupazionali. “Al tavolo sulla crisi del commercio – dice Patti – non sono state coinvolte le organizzazioni sindacali che rappresentano gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici, in un settore che peraltro ha registrato un crollo con la perdita di tanti posti di lavoro. Il sindacato, in quanto soggetto portatore di interessi collettivi, deve stare dentro gli spazi, le sedi in cui si discute di lavoro, benessere sociale ed altre tematiche e deve essere coinvolto. Pensiamo, infatti, sia opportuno istituire più momenti di confronto con le parti sociali”.

Guardando ai dati, il report e l’analisi della Cgil Messina mettono in evidenza le criticità occupazionali e sociali.  “I dati relativi all’occupazione nel territorio di Messina ci consegnano un quadro allarmante, su cui occorre intervenire in tempi rapidi e con una visione strategica chiara e sistemica”, fa presente la segretaria confederale della Cgil Messina, Stefania Radici, con delega al mercato del lavoro, al welfare, alle politiche sociali e di sviluppo.

Aumenta l’occupazione ma il lavoro è precario e povero

 I dati Istat relativi all’occupazione del 2023 segnalano un aumento di
occupati, anche in virtù dell’aumento degli attivi. Si registrano
176.000 occupati sul territorio di Messina (107.000 uomini e 69.000 donne), 7.000 unità in più rispetto
al 2022.
“Non c’è però da gioire – osserva la segretaria della Cgil Messina, Radici – perché come registra l’Osservatorio Inps sui nuovi rapporti di lavoro, solo il 13,9% viene assunto con un contratto a tempo indeterminato. Il 56,5% dei nuovi assunti nel 2023 ha firmato un contratto a termine, il 22,2% ha avuto un contratto stagionale, il 3,1% in apprendistato, il 2,4% un contratto intermittente ed l’1,8% in somministrazione. Il lavoro che si è venuto a creare è un lavoro precario, che non dà la stabilità per immaginare e costruire percorsi di vita autonomi.
Inoltre, il lavoro a Messina è un lavoro povero, se consideriamo che il 36,5% dei contribuenti ha un reddito da 0 a 10.000 euro. Oltre la metà dei contribuenti (il 52,7%)  ha un reddito da 0 a 15.000 euro.
Una povertà economica che spesso inficia la possibilità di avere un’abitazione dignitosa, un ambiente riscaldato o climatizzato, l’accesso alle cure in un sistema sempre più privatizzato, la possibilità di fruire di eventi culturali e sociali, nonché la possibilità di garantire percorsi di studio e formazione ai propri figli”.  

Il commercio in profonda crisi, il settore manifatturiero ancora in declino, frena l’edilizia

 “Se guardiamo ai settori di attività – prosegue con l’analisi dei dati la segretaria della Cgil Messina – notiamo un incremento di occupati nel settore agricoltura, silvicoltura e pesca (da 10.000 a 11.000), sebbene le imprese nel settore siano in diminuzione. Notiamo una perdita di occupati nel settore edile, in linea con le cessazioni di impresa che si sono registrate a seguito della fine di incentivi e bonus; una crescita del numero di occupati nell’industria in senso stretto (da 16.000 a 20.000 unità), che non è dovuta al settore manifatturiero, in declino da diversi anni.  Se consideriamo la serie storica della demografia delle imprese del macro settore industria, calano le attività manifatturiere e sono in salita le imprese di fornitura di energia elettrica, gas, vapore, aria condizionata o manutenzione reti fognarie.  Gli occupati nel settore terziario sono in aumento di 3.000 unità per un totale di 129.000. Ma, all’interno del settore, il commercio vive una crisi, con la perdita in un anno di circa 500 imprese, che ha determinato la perdita di un migliaio di dipendenti, per la maggior parte donne. E questa discesa si registra in maniera inesorabile
dal periodo pandemico e non si arresta nonostante l’emergenza epidemiologica sia stata superata”.


Preoccupa la condizione delle donne, in particolare delle giovani donne –
Non solo si registra una perdita di occupate in tutte le fasce giovanili (15-24 anni; 18-29 anni; 15-29 anni; 15-34 anni), ma si registra anche un aumento dell’inattività: nella fascia 15-34 anni sono 58,8% le donne inattive ed i principali motivi di inattività, per chi non studia, sono legati alla famiglia e allo scoraggiamento.
“Non ci si può rassegnare al fatto – commenta Stefania Radici – che le giovani donne stiano fuori dal mercato del lavoro, che debbano rinunciare a opportunità di lavoro ed è gravissimo quando questa rinuncia dipende dagli oneri di cura della famiglia in un contesto in cui sono totalmente assenti i servizi per l’infanzia e per le categorie vulnerabili”.


Una popolazione sempre più vecchia che perde giovani

Su una popolazione di circa 600.000 abitanti (tra l’altro in caduta libera, considerando che abbiamo perso 60.000 abitanti in 20 anni), abbiamo 176.000 occupati; 166.000 pensionati; 42.000 sono i disoccupati.
L’indice di dipendenza è 57,7%, che significa che ogni 100 individui in età attiva ce ne sono quasi 58 in età non attiva (under 15 e over 65).
L’indice di vecchiaia è pari a 208,1% a significare che ci sono 100 under 15 ogni 208 anziani, una popolazione che perde giovani, per la scarsa natalità e per il flusso di emigrazione.
Nel 2022 sono 13.328 coloro i quali si sono cancellati dall’anagrafe per migrare in altre realtà, di questi 6.648 sono i giovani dai 18 ai 39 anni e 1.959 sono gli under 17 che con le loro famiglie hanno deciso di andare via alla ricerca di condizioni di vita migliori.
“Giovani – commenta Radici – che altrove trovano opportunità di lavoro dignitose e in linea con i propri percorsi di studio, cosa che il tessuto produttivo locale non è in grado di offrire. Non utilizzare e valorizzare le competenze di questi giovani e lasciarli andare via significa depauperare il territorio di risorse preziose in grado di produrre innovazione e ricchezza”.


Messina e la Sicilia sempre più lontane dall’Europa

 La Cgil Messina aggiunge ancora, come non ci sia da rallegrarsi se l’occupazione aumenta perché, se
allarghiamo lo sguardo all’Europa, in Sicilia si registrano i più bassi tassi di occupazione, i più alti di disoccupazione, in particolare giovanile e di lungo periodo, i più alti tassi di Neet tra i 15 ed i 29 anni
che non studiano e non lavorano, altissimi tassi di dispersione scolastica (la Sicilia ha il 18,8% di early leavers, dato più alto tra le regioni d’Italia (e dato che in Europa è superato solo da Ungheria, Romania e Bulgaria), bassissimi tassi di laureati (17,8%), dato più basso d’Italia e che in Europa è leggermente superato dal Sud-Muntenia in Romania.

Per la Cgil Messina, occorre costruire una strategia che punti all’inclusione sociale e lavorativa di tutti coloro i quali stanno ai margini o fuori dal mercato del lavoro e guardare al welfare, sia come strumento attraverso cui dare risposta ai tanti bisogni della popolazione, ma anche come motore di occupazione. “Inoltre – affermano il segretario generale Patti e la segretaria confederale Radici – occorre identificare settori produttivi strategici, capaci di produrre ricchezza e agganciare la transizione digitale ed ecologica, e mettere in campo politiche per costruire attorno ad essi filiere produttive. Occorre ragionare in un’ottica integrata di sistema e non con interventi isolati che non riescono a tracciare traiettorie di sviluppo sostenibile per il territorio”.