Quando arriva la Quaresima e inizia il cammino pasquale, non si possono distogliere gli occhi dalle sfumature eteree, che emanano le poesie di una tra le più grandi poetesse siciliane internazionali dei nostri tempi.
L’intellettuale in questione è Marje Dolores Merenda, di Sant’Angelo di Brolo, provincia di Messina, allieva prediletta dal grande poeta scomparso, drammaturgo, critico letterario, traduttore e critico del ‘900, Mario Luzi. Marje Dolores è anche perfetta sostenitrice del canto corale sacro. Scoperta e stimata da Luzi è divenuta per i numerosi elogi, apprezzatissima. È grazie alla Regina Camilla, moglie del re Carlo III, consorte del Regno Unito e di reami del Commonwealth, che la sua fama si è ulteriormente arricchita. È stata proprio la Regina Camilla che ha giudicato le sue favole per bambini, “Premio di lettura, utile per i miei nipoti”. Marje Dolores ha viaggiato tanto all’estero e suoi libri sono ammiratissimi in Italia, America e persino in Australia. Vanta una folta schiera di critici internazionali che la descrivono tra le migliori narratrici per fanciulli del nostro secolo. Poetessa-Scrittrice e Medico-Pediatra, di animo altamente nobile e generoso, sa essere eclettica, poliedrica e versatile. Proprio in questo cammino Quaresimale è possibile verificare i suoi valori etico-religiosi. Nella poesia, “Nell’orto degli ulivi”, è possente il suo contributo artistico-educativo. Nell’orto dell’agonia la Merenda esprime le sue emozioni e sentimenti con dovizia lessicale, pur mantenendo la purezza di una semplicità genuina. Abile nell’esporre ciò che il suo animo sente, esplode in un grido straziante con la sua penna, che fluida scende sul foglio, componendo, come dettata dagli Angeli del cielo. Il suo stile lineare, preciso, non confonde, ma la classifica, “Poetessa elegante”. In verso libero le strofe in distico, rimarcano la forza del sacrificio di un innocente, Gesù, il potente coraggio dell’amore per l’umanità, la sfida all’odio da combattere, esempio per l’uomo di ieri e di oggi. Cruda la realtà divina sofferente alla volontà paterna (“Elì, Elì, Sabactanì…” grida il Suo cuore.“Elì, Elì, Sabactanì…”, così gridano lancinanti nel silenzio dell’orto le Sue carni martoriate). Nelle ultime due strofe, dove lo scoramento travalica e consegna le chiavi al mistero pasquale, si rivela il momento-chiave: le vittime e i carnefici ci saranno sempre. Qui anche l’illusione al traditore Giuda. La poetessa porge nella penultima strofa il suo messaggio di fede, certa che quella del Cristo è una croce che va rimossa e nascosta. La sua ultima domanda accorata di giustizia, nelle parole: Dio… Dio… dimmi, e… per le coscienze dei giusti? Qui trapela, oltre all’inverosimile, la bellezza della composizione poetica nell’abbandono alla volontà divina, che prima o poi farà il suo corso. Si avverte, dunque, una mescolanza di fede ed un credo spontaneo, con un prodigioso trionfo di effetti letterari. Un’alta fattura che rende il collage Merendiano, “capolavoro poetico”, esempio di carità cristiana e misericordia universale.
°°°°°°°
Nell’orto degli ulivi di Marje Dolores Merenda
Nell’orto degli ulivi,
il presagio della passione
e lo strazio del martirio
per una sofferenza necessaria,
che non si può evitare.
È il tributo dovuto
per la salvezza dell’umanità,
il tributo d’amore
che l’unico giusto
può e sa pagare.
Egli è venuto al mondo
per questa missione
possibile solo a Lui,
per amore dei fratelli
che non conoscono l’amore.
Un solo giusto
per tanti peccatori,
una sola vittima,
innocente,
per tanti carnefici.
L’ansia del tradimento,
il rumore distinto della frusta
che schiocca sul terreno
e fischia nell’aria
prima di lacerare, infallibile,
il suo dorso piegato,
affondando senza pietà nelle giovani carni.
L’odore del sudore misto al sangue,
i passi pesanti e le voci concitate della folla,
quali rabbiose, quali imploranti una pietà
che non può trovare strada
nei cuori ormai induriti
e dimentichi della carità.
Il pianto di Maria e delle pie donne,
la corsa rabbiosa al monte,
interrotta dalle cadute
sempre più frequenti.
La polvere, solo, asciuga
il sangue che sgorga copioso
dalla pelle lacerata.
Presto, sì, presto,
verso la Croce,
per porre fine al martirio
per non vedere e non sentire più,
per non soffrire più.
“Elì, Elì, Sabactanì…”
grida il Suo cuore.
“Elì, Elì, Sabactanì…”
gridano nel silenzio dell’orto
le Sue carni martoriate.
Gli offriranno l’aceto per dissetarsi
e lenire le ferite profonde,
lo scherno per i Suoi lamenti soffocati,
i chiodi per fissarLo alla Croce,
una corona di spine