Ciccio Carbone, dalla provincia di Reggio Calabria,con i suoi ricordi e le avventure di una traversata nell’Oceano per l’altra parte del mondo.

Emigrato a Sidney nel 1964 incoraggia le nuove generazioni ad aver fiducia in sè stessi.

Non è stato facile concordare un’intervista con un paese in cui  la differenza oraria è di dieci ore. Obiettivo centrato e siamo in collegamento web. Sono le 10,00 del mattino in Italia, mentre a Sidney le 20,00 di sera. È  felice il nostro ospite di 82 anni, orgogliosamente senza una ruga. Appare sorridente e fiero di parlare con una siciliana. Ciccio Carbone proviene da Oppido Mamertino, provincia di Reggio Calabria.

 Il padre era mulattiere; trasportava i muli, ma con la tecnologia il lavoro di mulattiere è venuto a mancare ed è rimasto senza possibilità di lavoro. Un momento di grande emozione è al ricordo del suo papà, che, riferisce, era divenuto cieco per via di una malattia agli occhi. Era stato lui a prendere in mano le redini della sua famiglia d’origine, composta da una sorella e tre fratelli, di cui uno è venuto a mancare. Rimpiange, infatti, di non aver  potuto studiare e tutto ciò che sà lo ha imparato da autodidatta. Il viaggio in Australia è stato per Ciccio, il momento del riscatto. Da Villa San Giovanni, dove ancora vive un fratello, era giunto a Messina il giorno prima, dove nel porto il 25 ottobre del 1964, li aspettava la nave del “coraggio”. Un viaggio che durò un mese, ma anche la nave della speranza, quella speranza di una vita migliore. Giunto a Sidney, Carbone provò qualsiasi onesto lavoro, dal lavapiatti al cameriere, giardiniere, barista, fruttivendolo ed anche pulire le strade. Era un leone, che pur di superare gli ostacoli, avrebbe fatto qualunque sacrificio. A poco a poco si era fatto una posizione rispettabile. L’Australia, terra ricca di lavoro per i meridionali italiani, gli riempiva il cuore. Forte, però, la nostalgia per la madre patria Italia. Pensava di ritornarci un giorno e di stabilirsi di nuovo nella terra della tarantella calabrese, della nduja e degli ulivi. Dopo 60 anni ha imparato discretamente l’inglese, lingua che in un primo tempo gli era molto difficile.  Poi aveva incontrato la sua anima gemella, sua moglie Rosa, da cui sono nate due figlie, Pina e Carmelina. Tutti e due laureate. Ora è nonno di cinque bellissimi nipoti. Prima del Covid, veniva spesso in Italia, circa venti volte. Conosce bene la città di Messina.

Aveva due zie che lì vi abitavano, una in Via La Farina e l’altra a Pistunina. Poi con la Pandemia, avendo contratto il Covid, i viaggi sono diminuiti, ma nel cuore c’è sempre l’Italia. È fiero di aver conosciuto la bravissima giornalista Cav. Josephine Maietta, conduttrice della trasmissione radiofonica “Sabato Italiano” di Radio Hofstra University di New York. L’aveva conosciuta in una trasmissione di una Radio italoaustraliana, dove la giornalista era ospite due volte alla settimana. Ciccio si sente di ringraziarla per la sua grande disponibilità con gli italiani all’estero e per la diffusione dei loro sentimenti in Radio.

Precisa che l’Australia è una terra ospitale, dove con buona volontà si può trovare un lavoro. L’importante è conoscere l’inglese. Sono molto richiesti gli ingegneri informatici, ambiti e ben remunerati. La nostra intervista è all’epilogo. Non ci si aspettava un personaggio ben strutturato come il calabrese Ciccio, un italoaustraliano, buono, umile, detentore di grandi valori. Emigrare in Australia è stato un valore aggiunto. Tutto ha avuto un senso, come la famiglia che è stata la vita; la moglie e i figli l’aria che respira; i 5 nipoti il senso più ampio per il cammino della sua senilità. Come in una favola, si è trapiantato a Sidney, in una terra che gli ha regalato un futuro, che non lo ha privato di nulla e che, in cambio, è divenuta la sua seconda patria.