Riflettere sulle corrette modalità di messa in scena dell’ Aiace non deve essere stata un’operazione semplice per Luca Micheletti, che, alla 59esima stagione degli spettacoli classici dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico, ha deciso di misurarsi nella doppia veste di attore e regista nella tragedia di Sofocle (un unicum nella storia delle rappresentazioni siracusane che richiama alla mente ciò che, perlomeno agli albori, accadeva nell’antica Grecia). Il problema sta tutto lì, nel prologo: quale espediente efficace per effettuare il cambio di scena dall’accampamento acheo (dove il rivale Odisseo scorge con occhio vigile ciò che accade all’interno) alla spiaggia dove l’eroe nativo di Salamina compie il suicidio?

La scelta scenografica appare macabra, lo spettatore trova davanti a sé un enorme telo bianco macchiato di sangue, a coprire l’orrore della carneficina degli armenti compiuta da Aiace durante la notte. La devastazione delle carcasse squartate si vede solo quando il sipario si apre e mostra le povere bestie ormai in stato di putrefazione. Ma c’è qualcos’altro che cela il tendone bianco, ed è la coscienza del protagonista, analizzata e vivisezionata da tutti coloro che via via prendono la parola.

Di Aiace si percepisce tutta la follia, è palpabile la sofferenza che lo devasta, il conflitto interiore di un uomo spezzato in due che, tuttavia, resta pragmatico e autentico fino all’ultimo. Odisseo assiste in penombra; resta in silenzio, spettatore curioso delle elucubrazioni del rivale a cui ha sottrato l’armatura di Achille. Se la ride Atena, interpretata da un attore di sesso maschile, in abiti da mendicante, mentre sussurra parole di morte e prepara Odisseo a ciò che di lì a poco accadrà.

Il coro, composto dai marinai dell’equipaggio di Aiace, è accompagnato da un’ochestra che intona musiche composte da Giovanni Sollima, senza dubbio una scelta più che azzeccata. Commovente l’interpretazione della compagna dell’eroe, Tecmessa, prostrata dalla preoccupazione di un futuro incerto per sé e per il piccolo Eurisace.

Come un’ombra silenziosa che inquieta, la figura di Thanatos riempie la scena e, alla fine, strappa alla vita il virtuoso eroe di Salamina, che scompare del tutto dalla scena accompagnato dalle Erinni della vendetta. A questo punto il tendone finalmente si abbassa e svela un enorme scheletro umano. C’è ora spazio per i nemici di Aiace, Odisseo, Menelao e Agamennone. Intenso il confronto finale sulla sepoltura del corpo. Menelao e Agamennone vengono dipinti in maniera grottesca: il primo, a tratti ridicolo, ha bisogno dei suggerimenti altrui per esprimere la propria opinione; il secondo è un finto autoritario poco rispettoso delle leggi divine. Anche in questo caso, il pragmatico buonsenso di Odisseo ha la meglio, poiché è lui a suggerire come sia più giusto agire.

Aiace e Odisseo: eroi di due mondi paralleli, interpreti l’uno di un mondo più arcaico (quello che Erich Dodds definisce “civiltà della vergogna” ), l’altro di una realtà più attuale dominata dal potere della parola.

Per concludere, bisogna solo sottolineare la buona riuscita della rappresentazione, resa possibile soprattutto grazie alla magnifica presenza scenica di Micheletti. E, volendo lanciarsi in un confronto con Fedra, si potrebbe azzardare l’ipotesi che la scelta di proporre al pubblico queste due tragedie sia nata dalla volontà di mettere in evidenza due aspetti diversi della follia: quella di Fedra che è incurabile perché nasce dall’amore, e quella di Aiace, che a tratti regredisce per far tornare a parlare l’uomo razionale e virtuoso di sempre. Non dimentichiamo che, proprio nella piena facoltà di sé, egli compie l’atto estremo dilaniato dalla vergogna.

La morale, invece, rimane la stessa: non si può sfuggire alla volontà degli dei, che giocano a scacchi con le vite degli uomini, punendo le offese e la tracotanza (Afrodite la misoginia di Ippolito, Atena la hybris di Aiace).

Un parallelo è ben visibile: sia Fedra sia Aiace si suicidano, ma se per la prima il problema della sepoltura non si pone neppure, nel caso del secondo diventa motivo per distogliere l’attenzione dal leitmotiv principale, e cioè che cosa (o chi) abbia condotto alla follia un uomo tanto valoroso. Pur tuttavia, rimane negli occhi l’immagine di un eroe solitario amato dai suoi soldati e nondimeno dal suo acerrimo rivale Odisseo.

Foto tratte dalla pagina Facebook dell’INDA