Un grido di protesta ma soprattutto un grido d’aiuto è quello che proviene dai lavoratori siciliani impiegati nel settore agricolo, oggi fortemente provato da siccità e criticità varie. Una situazione drammatica che ha gettato decine di migliaia di agricoltori e allevatori nella disperazione e ha portato alla costituzione del comitato spontaneo F.A.U., Fronte di Agricoltori, Alevatori e Consumatori Uniti, nato a seguito dei presidi formatisi in diverse province della regione e di questi diretta espressione.
Il corteo del 20 marzo e l’incontro pomeridiano del 13 aprile scorso non hanno sortito gli effetti desiderati: all’approvazione della richiesta dello stato di emergenza nazionale e all’istituzione di un tavolo tecnico, per i quali i rappresentanti hanno espresso apprezzamento, non sono infatti seguite azioni concrete a sostegno delle categorie, che oggi chiedono maggiore attenzione al problema. In gioco è il destino di un intero settore, che potrebbe subire un tracollo di reddito e occupazione: si rischia infatti la perdita definitiva di culture permanenti come agrumi, frutteti e vigne, la compromissione di cerealicoltura e produzioni estive e la moria diffusa del bestiame.
A rappresentare agricoltori e allevatori i legali della Rete di Avvocati Internazionali della Organizzazione Mondiale della Vita (OMV), gli avvocati Emilio Fragale e Angelo Giorgianni, che ai nostri microfoni si sono detti estremamente preoccupati per le condizioni in cui allo stato attuale versa il mondo agricolo.
“Avere invocato l’emergenza nazionale per la crisi idrica – si legge nella nota della Rete di Avvocati della OMV indirizzata alla Regione Sicilia – significa avere posto un problema a livello sovra-regionale ma il problema, quanto a soluzione, resta neppure sfiorato. Avere istituito un tavolo tecnico senza calendarizzazione di incontri significa avere improvvisato una disponibilità di facciata, peraltro, spiace aver dovuto constatare la marginalità dela considerazione che il Governo nazionale rivolge al Governo della Regione Sicilia alla luce dello slittamento, in sede di Consiglio dei Ministri, dello stato di crisi dell’agricoltura siciliana.”
Un settore produttivo che dell’economia siciliana costituisce il 70% dell’indotto e rappresenta quindi il comparto trainante, ora in ginocchio a causa di una produzione ormai compromessa, a cui si aggiungono l’assenza di pascoli e la scarsità di fieno e foraggio. La scarsezza di piogge – di cui tra l’altro molte zone dell’isola non hanno affatto beneficiato – negli ultimi mesi fa tremare di terrore: intere aree seminate non andranno mai a maturazione, gli animali sono sfiancati perché privati sia del foraggio, che del minimo sostegno vitale rappresentato dall’acqua. Derrate alimentari a rischio e animali in sofferenza che però non fermano le rate di finanziarie e mutui: nell’impossibilità di far fronte a spese e creditori, i lavoratori si trovano dunque a chiedere la cancellazione delle cartelle e a invocare ristori e indennizzi. Fare impresa con costi di produzione in aumento e un reddito che si assottiglia sempre di più getta ombre sul futuro di agricoltori e allevatori, un futuro che appare sempre più incerto.
Quelle richieste alla Regione sono misure concrete di aiuto, che si declinano in sgravi fiscali, indennizzi, accordi con istituti di credito al fine di evitare procedure monitorie e/o risolutive e, ultimo ma non per importanza, l’utilizzo di pozzi e acque demaniali che, unitamente alla realizzazione di nuovi pozzi e di sistemi di irrigazione e raccolta delle acque piovane, risponderebbe all’annoso problema della siccità.
Gli agricoltori e gli allevatori di Sicilia si dicono pronti a combattere per evitare che “si perdano campi e colture, che muoiano animali, che vengano ipotecate proprietà, che si fermino i mezzi, che si costringano altri figli di famiglia a lasciare l’Isola, che si deprezzino terreni, che – direttamente o indirettamente – si svendano alle multinazionali, che si offra sponda a prodoti che, incontrollati, provengono dall’estero per esere consumati nele tavole di ignare famiglie messe rischio di contaminazione e di veleni.”
Perché la questione, in fondo, riguarda da vicino tutti noi. Nell’agroalimentare la Sicilia vanta una produzione di qualità – spesso certificata dalle sigle DOP e IGP – apprezzata tanto sul mercato interno quanto su quello estero, un vero e proprio brand che riconosce nelle tipicità nostrane un punto di forza di comprovato valore. A essere messo in discussione oggi è proprio questo brand, su cui la crisi di un intero settore si riflette: siccità e criticità varie si traducono in una produzione agricola ridotta, che a sua volta significa meno made in Sicily sulle nostre tavole.
Un dramma che è prima di tutto un dramma umano per migliaia di famiglie adesso con le spalle al muro e centinaia di aziende che rischiano di soccombere per i tempi di una politica talora sorda alle urgenze della realtà.
La Rete Internazionale di Avvocati della Organizzazione Mondiale della Vita, in mancanza di riscontri positivi e tempestivi da parte della Regione, ha annunciato l’intensificarsi delle azioni di protesta.