Oggi, 25 marzo, in Grecia si festeggia l’affrancamento dal dominio turco.
Il lungo e complesso processo che porta all’indipendenza ellenica dal giogo straniero è inserito nel ben più ampio fenomeno di disgregazione che interessò l’impero ottomano nelle province balcaniche.
L’Ottocento è un periodo di forti emozioni, non solo letterarie, artistiche e poetiche. Echeggiano parole come “patriottismo”, “nazionalismo”, “libertà” anche tra le élite aristocratiche: non si può più essere sudditi dello straniero. I Greci, come del resto gli europei, riscoprono i valori della loro identità nazionale, anche perché stanchi non solo di essere assillati dagli ottomani dal punto di vista economico e civile, ma persino defraudati del loro patrimonio storico-artistico da quasi quattro secoli. Il popolo ellenico, circa duecento anni fa, dà inizio ai moti indipendentisti che condurranno alla sua liberazione a Patrasso, città situata nel nordest del paese.
Agli occhi del mondo la Grecia non è un luogo qualunque perché incarna tutti i valori che reggono la civiltà occidentale. Così, quando si percepisce che i Greci stanno per ribellarsi nell’immaginario europeo ritornano alla mente i grandi personaggi della Grecia antica, quegli eroi che hanno sconfitto i Persiani prima a Maratona, poi al passo delle Termopili e, infine, a Salamina. Diventa allora quasi naturale sostenere il popolo che ha forgiato i più alti valori etici e culturali del mondo civile. Tutto questo genera una guerra atroce, come del resto sono atrici tutte le ribellioni di popolo. I Turchi, di fatto, scatenano una repressione feroce: massacri, esecuzioni capitali, come a Costantinopoli nel 1821 contro la comunità di rito greco con l’impiccagione del patriarca Gregorio V. Anche questi episodi contribuiscono a consolidare lo stereotipo della barbarie ottomana. I Greci, tuttavia, tengono duro e raggiungono l’indipendenza nel 1832.
La guerra, però, cambia non poco anche l’impero ottomano. Dopo la perdita di Atene, quasi tutti i Turchi sono consapevoli della necessità di cambiare la società e operare riforme non solo di tipo economico. Nel giro di pochi anni vengono introdotte tutte quelle innovazioni che l’Occidente aveva faticosamente costruito nel corso dei secoli: un’enorme sforzo di adeguamento ma anche un faticoso e infruttuoso tentativo di omogeneizzare le varie nazionalità che l’impero conteneva entro i suoi confini. Il sogno di creare un’unica cittadinanza multietnica e multi religiosa, che consentisse a ciascuno di riconoscersi in un ordine superiore alle numerose nazionalità, al di là delle singole differenze, svanirà proprio a causa di un fragile stabilità interna.